Smart working: se il lavoro non è uguale per tutti

Lo smart working ci salverà: a leggere le cronache degli ultimi mesi, sembra che il lavoro smart sia diventato la panacea per tutti i mali – che nel mondo del lavoro, c’è da dirlo, non sono pochi.

Ma è davvero così? Innanzitutto va detto che lo smart working o lavoro agile non è certo un’invenzione dell’ultima ora. Anzi, in Italia e non solo è una modalità di lavoro che si pratica da anni, ma che finora ha rappresentato una percentuale piuttosto insignificante.

Eppure, tanti lavoratori autonomi sono “nati” come lavoratori smart e ne conoscono da tempo i benefici; cosa ha tenuto le aziende lontane da questa modalità di lavoro per i propri dipendenti? Innanzitutto un ritardo normativo.

La legge sul lavoro agile è del 2017, l’altro ieri praticamente, ed è arrivata – tardi – a colmare un vuoto percepito già da anni. E di cui molte aziende hanno approfittato.

Dimmi cosa fai e ti dirò chi sei

Una prima distinzione tra chi può e chi non può approfittare di modalità smart di lavoro è insita nella tipologia stessa del lavoro.

Quelle professioni che richiedono la presenza fisica – si pensi alla vendita al dettaglio, alla ristorazione, a molti servizi per la persona – sono automaticamente tagliate fuori dal concetto di lavoro agile come lo intende la legge. Ma anche all’interno di quei settori dove lavorare da casa è una concreta possibilità, ci sono molte differenze.

Un gran peso ce l’ha la dimensione dell’azienda per cui si lavora. Più è grande, più sarà facile che il lavoro agile sia preso in considerazione; per legge, infatti, il datore di lavoro non ha nessun obbligo di concedere lo smart working a un dipendente, dunque laddove esistono dei sindacati ben organizzati e influenti, sarà più facile ottenere il riconoscimento di questo diritto.

Non che molte aziende piccole non capiscano il valore di un migliore equilibrio vita-lavoro per i propri dipendenti, anzi, ma in linea generale lo smart working ha iniziato a diffondersi in Italia proprio grazie alle filiali italiane di multinazionali estere e a veri e propri colossi dei settori bancario, informatico e assicurativo.

Il manager e l’operaio

L’equilibrio vita-lavoro è diventato il nuovo privilegio di classe. Dati alla mano, in Italia chi beneficia maggiormente dello smart working sono i manager, seguiti dai quadri e dagli impiegati, con gli operai a fare da fanalino di coda.

Un film già visto? Purtroppo sì. Ma la possibilità di conciliare vita privata e vita lavorativa non può e non deve diventare un benefit assimilabile a tanti altri.

A proposito di benefit, i “veri” smart workers, quelli che lo sono da sempre, vale a dire molti lavoratori autonomi e liberi professionisti, di benefit proprio non ne vogliono sentir parlare.

In Italia l’accesso ad ammortizzatori sociali e agevolazioni fiscali per chi non ha un contratto di lavoro subordinato è quasi utopia; viene dunque da chiedersi se esista uno smart working di serie A e uno di serie B.

A fronte di un numero sempre crescente di persone che desiderano lavorare da casa, o comunque da remoto, manca una equivalente crescita di risposte e soluzioni da parte del mondo del lavoro e delle istituzioni sociali.

Il lavoro “smart” è per sua natura intelligente: meno traffico, meno inquinamento, più stabilità famigliare, più produttività. Varrebbe la pena di iniziare a trattare la materia seriamente.